Don Baccilieri, Stratega Dell’essenziale
Card. Giacomo Biffi – Galeazza 1 luglio 2000
“Francesco, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina!” Sono le parole che il Crocifisso di San Damiano rivolge al Poverello di Assisi […]
Non consta che il Beato Ferdinando Baccilieri […] abbia avuta una esperienza simile a quella di san Francesco e abbia ascoltato lo stesso ordine dalle labbra del suo Signore.
Ma, se pur le parole divine non risuonarono esternamente alle sue orecchie, è certo che il disegno del Padre celeste, che tutto dispone secondo una provvidenza amorosa e sapiente, gli riservava proprio quella medesima missione; e proprio quella medesima missione è andata rivelandosi al suo cuore in maniera sempre più chiara ed esigente nei molti decenni del suo sacerdozio. Possiamo anzi dire che la sua provata esistenza e l’intera azione pastorale […] sono state una intelligente e generosa risposta a questa inespressa ma intimamente reale e concreta chiamata di Dio.
Dobbiamo dunque riconoscere in don Ferdinando un infaticabile e incontentabile restauratore della «casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente» (cf 1 Tm 3, 15), come la definisce san Paolo.

Sotto questo profilo, egli è un modello prezioso per ogni presbitero, perché la passione per la bellezza e la vitalità della Sposa è ciò che più fortemente deve connotare ogni partecipazione ministeriale alla donazione sponsale di Cristo per la «nazione santa.” (cf 1 Pt 2, 9).
[…] Don Baccilieri non era però uno spiritualista astratto che, tutto preso dai miraggi delle ideologie, ignorasse l’importanza delle strutture materiali. Egli sapeva che non è agevole far sorgere e sussistere una vera comunità, se questa non è accolta – laddove è appena possibile – in un edificio sacro solido e dignitoso; un edificio, cioè, che con il suo stesso decoro induca negli animi il pensiero della dimora celeste.Lo stato miserando della chiesa di Galeazza non lo scoraggia. Al contrario, egli lo interpreta come un pressante invito e una sollecitazione a lavorare perché tutto risorga e gli spazi dedicati al culto di Dio trovino un rinnovato splendore. Così sotto le sue cure l’antica costruzione si amplifica e si adorna, diventando al tempo stesso più bella e più funzionale. […]
Il ripristino dell’ambiente esteriore, però, nella mente di don Ferdinando era il solo segno – indispensabile, ma secondario e da se solo insufficiente – della rinascita della «casa di Dio» più vera, che è la famiglia dei credenti nel Signore Gesù, illuminata dal suo Vangelo, nutrita dei suoi sacramenti, compaginata e vivificata dal fuoco della carità.
E proprio qui si manifesta la «genialità equilibrata» del Beato, che non va alla ricerca di ritrovati inediti e insoliti al fine di dare slancio religioso e morale alla sua parrocchia con iniziative clamorose e stupefacenti. Piuttosto egli attende a realizzare nella forma più eccellente e più intensa quanto era abitualmente proposto dalla pastorale del tempo.
Egli sa che non ci sono scorciatoie sui percorsi di una seria vita ecclesiale; ed è convinto che non serve vagheggiare voli arditi ed evasioni che dispensino dal seguire i ritmi obbligati di un apostolato, che voglia mantenersi aderente alla strada indicata dall’unico Salvatore del mondo, morto per noi e risorto.
La strategia del parroco di Galeazza non si discosta, quindi, da quella che, nell’epoca postridentina sotto il magistero e l’esempio soprattutto di san Carlo Borromeo, aveva generato schiere di santi e ridato vigore alla religiosità delle nostre popolazioni.
Tale strategia pastorale comportava: la proposta metodica e senza stanchezze della verità che ci salva, con la predicazione ben preparata, con le catechesi frequenti, con il ritorno periodico delle missioni al popolo; l’offerta insistente e persuasiva dei mezzi di grazia, e segnatamente del sacramento dell’eucaristia e del sacramento della riconciliazione; la contemplazione dei grandi misteri della fede con la devozione al Crocifisso, al Sacro Cuore, alla Vergine Addolorata, alla Sacra Famiglia; all’utilizzo delle molteplici associazioni, che stimolavano tra i laici il fervore e la reciproca emulazione; il richiamo alla legge evangelica dell’amore fraterno, attuata con una solidarietà fraterna, fattiva e discreta, a vantaggio dei più deboli e dei più bisognosi.
La lezione pratica dell’indimenticabile parroco di Galeazza resta ancora di rilevante e incontestabile attualità; e, segnatamente per i pastori, è un energico richiamo all’essenzialità e all’autenticità nello svolgimento del loro grande compito nella Chiesa. […]» (cf. Quaderni di Galeazza, ANNO VIII, N. 1-2, pp. 24 – 25)